Racconto completo

Tratto dalla raccolta "In attesa del Big Bang"

Di Alberto G. Gianinazzi

Edizioni Simple, Giugno 2013

 

 

Alla ricerca del drago

Maurice posteggiò l’auto ai bordi della strada. Scendendo dal veicolo aprì con precauzione la portiera, perché non voleva vedersela portare via da un’auto in corsa ed essere eventualmente travolto anche lui, seguendola nella sventurata sorte. S’incamminò lungo il viale alberato che costeggiava il fiume. Era stressato, ma di buon umore.  Si era da poco aggiudicato l’appalto più importante e ambizioso della sua vita d’imprenditore. Altre sei imprese avevano partecipato alla gara, ma la sua offerta era stata la migliore: il prezzo, la qualità e la durata per la realizzazione dell’opera concordavano con le aspettative della Compagnia Ferroviaria. Con piacere ripensava all’avvenimento, facendo scorrere lentamente le immagini nella mente, come se le guardasse con la moviola, fermandosi sui momenti più belli: riviveva l’atmosfera tesa e i comportamenti nervosi; i raggi di sole riflessi sul tavolo di cristallo e le calorose strette di mano, accompagnate da sorrisi raggianti e da un brindisi con lo spumante per festeggiare l’accordo. Nelle narici sentiva ancora l’odore acre del fumo dei sigari cubani che aveva coperto il profumo di lavanda del suo nuovo completo a righe.

Mentre camminava lungo il viale, alternava alle sue fantasti-cherie alcuni calcoli matematici. Sommando tutti i chilometri di galleria che erano stati perforati dalle sue macchine, ne ottenne cinquanta: pressappoco la sua età. Fu sorpreso dal risultato che gli confermò quanto la sua vita fosse legata, in un modo o nell’altro, ai chilometri scavati nella roccia. Si complimentò con se stesso elogiando la propria geniale caparbietà, che gli aveva sempre permesso d’intraprendere e portare a termine tutti i progetti, anche quelli più mastodontici, che a volte avevano rasentato la megalomania. Gli bastava fissare un punto d’inizio e uno d’arrivo, tracciare tra i due estremi una linea e il gioco era fatto. Non aveva mai incontrato un ostacolo che l’avesse obbligato a cambiare il percorso: riusciva sempre a congiungere i due tubi di scavo, senza piegare di un solo metro il rettilineo. Quel traforo sarebbe stato l’ultimo della sua vita attiva. Ad opera terminata avrebbe ceduto la sua impresa e, grazie a un’agiata pensione, avrebbe trascorso gli anni restanti in un luogo caldo, contemplando il mare e il cielo, lontano dai buchi neri. Certo non sarebbe più stato giovane e agile, ma avrebbe potuto comunque godersi la vita, raccogliendo così i frutti di un’esistenza trascorsa fra la polvere nelle viscere della montagna.

Se da una parte il progetto aveva ridestato in lui un entusiasmo spento da molto tempo, dall’altra aveva generato paure inconsce e irrazionali. Improvvisamente, emerso da un mondo fantastico e misterioso, un sogno aveva iniziato a molestare le sue notti, rendendo il suo sonno irrequieto e leggero. Nemmeno al mattino, scendendo dal letto, riusciva a dimenticarlo e durante il giorno le immagini della notte tornavano a disorientarlo. Per liberarsi da quell’ossessione aveva consultato una chiromante, ma l’interpretazione, che la donna gli aveva dato del sogno, gli aveva solo confuso le idee. Si era confidato allora con un amico di lunga data, con il quale aveva scambiato, tra i banchi di scuola elementare, razzetti di carta scarabocchiata. L’amico gli aveva consigliato di ricorrere all’aiuto di uno psicologo, ma a Maurice l’idea non era piaciuta. Allora l’amico, per non lasciarlo in preda ad ansie inverosimili, gli aveva dato l’indirizzo di una libreria di periferia specializzata in letteratura fantastica.

Quando Maurice si trovò di fronte al piccolo vecchio caseggia-to di due piani, color ocra e con il tetto rosso, fu certo di non sbagliarsi. L’edificio era l’ultimo prima dell’aperta campagna. Aveva un bel giardino recintato che dava sulla strada. Sicuro di sé Maurice spinse il cancelletto, che si aprì facendo tintinnare un caccia-spiriti metallico con campanelle e cavalli marini. Entrò e suonò il campanello. Sentì un cane abbaiare e una voce di donna che intimava all’animale di tranquillizzarsi. Venne ad aprire un’anziana ma ancora attraente signora slanciata e vestita con classe.

«Buon giorno» disse Maurice, senza perdere di vista il cane, che gli stava annusando i pantaloni.

«Buon giorno signore. Non si preoccupi del cane, non ha mai morso nessuno. Cosa desidera?»

«Vorrei acquistare un libro.»

«Mi dispiace, ma ho chiuso la libreria l’anno scorso, svendendo quasi tutto. Mi sono rimasti dei testi per uso personale e dei miseri fondi di magazzino.» Deluso Maurice abbassò per un attimo gli occhi. Lesse la scritta sullo zerbino che diceva “Benvenuto”. Motivato dall’augurio insistette con la sua richiesta.

«Mi è stato detto che la sua è l’unica libreria a vendere libri di fantasia. Mi permetta di dare uno sguardo ai libri rimasti, con un po’ di fortuna troverò ciò che cerco. La pagherò lautamente per il suo disturbo.» La donna lo squadrò da capo a piedi, con uno sguardo penetrante e indagatore, che lo mise a disagio.

«Per evitare di farle salire le scale inutilmente, mi dica prima che cosa cerca.»

«Un libro sui draghi.»

«Draghi?»

«Sì, draghi.»

«Favole?»

«Non proprio.»

«Caro signore, ho certamente un testo naturalistico che tratta di serpenti, ma uno sui draghi in particolare, non me lo ricordo. Però il serpente è imparentato con il drago e, sebbene quest’ultimo appartenga alla mitologia, il valore simbolico potrebbe essere simile.»

«Non mi piacciono i serpenti!» borbottò Maurice sottovoce.

«Eppure hanno una loro particolare bellezza. Quando saprà camminare sui serpenti, senza che si voltino per morderla, allora ne avrà percorsa di strada!»

Seguì un silenzio imbarazzante. La donna lo sguardò attentamente. Nel vederlo così distinto e signorile, si decise a lasciarlo entrare.

«La prego, non rimanga lì immobile, come se l’avessi inchiodata alla porta! Entri e vediamo cosa posso fare per lei. Mi raccomando, si pulisca bene le scarpe.»

Maurice se le pulì con zelo e la seguì su per le scale.

«Non so come ringraziarla» disse Maurice.

«Aspetti a ringraziarmi.»

«Lei vive sola?» chiese Maurice con la voce un po’ strozzata.

«Lei ha paura di rimanere solo?» gli domandò la donna di rimando, lasciandolo di stucco.

«Generalmente no, ma ultimamente, di notte, mi sento solo e in balia delle ombre.» ammise Maurice aggrottando la fronte.

«Vedrà, le passerà. Anch’io, non molti anni fa, mi sono trovata in uno stato mentale analogo. Mi spaventavo a ogni piccolo rumore della notte. A volte percepivo delle presenze estranee in casa. Rimanevo sveglia tutta la notte, scrutando inutilmente l’oscurità alla ricerca d’indizi che mi confermassero la loro presenza. Erano solo paure insensate, dovute al malessere di cui ero preda. Poi, poco per volta, ho ripreso fiducia in me stessa e nella vita. Le mie angosce sono scomparse come neve al sole di primavera. Ora, quando mi capita di soffrire d’insonnia, rimango ad ascoltare i rumori, lo scricchiolio del legno, lo squittio dei roditori, il tubare delle tortorelle e di altri animali notturni.»

«Insomma, lei ha un vero serraglio in casa!» commentò Maurice ridendo. Alla donna quel sarcasmo non piacque e sorrise fra i denti. Entrarono nel salone. Gli scaffali della biblioteca erano pieni zeppi di libri. C’erano anche tanti oggetti sparpagliati: souvenir di viaggi raccolti in giro per il mondo, strumenti musi-cali, cristalli lattici, ametiste viola e tante bottiglie piene di sabbia raccolta sulle spiagge mediterranee e nei deserti del Nord-Africa.

«Oh, che ambiente interessante!» esclamò Maurice mentre incuriosito si guardava in giro.

«Vero? Ne sono fiera! Dopo tanti anni sono riuscita a creare un ambiente in sintonia con me stessa. I libri, i viaggi e le piante del giardino sono la mia passione. Adesso, a causa del freddo, la lettura rappresenta la mia occupazione principale durante il giorno. Venga, la prego, si accomodi, si metta a suo agio, mentre le preparo il tè. Oggi fa freddo fuori.» La donna uscì dal salone e quando ritornò, lo trovò intento a leggere i titoli dei libri.

«Eh sì, caro signore, i libri sono il mio mondo e tutto ciò che mi è rimasto della mia vita professionale. Nel rileggerli scopro cose che mi sono sfuggite a una prima lettura.»

«Beata lei! Quando andrò in pensione, non potrò portarmi dietro un pezzettino di montagna da traforare, come faccio ora.»

«Potrà scavare qualche buca nel giardino di casa e pulire cristalli.» disse lei sorridendo. Depose il vassoio con le tazzine e la teiera, servì il tè e uscì dal salone dicendo:

«Faccia come a casa sua: torno in un battibaleno.»

Maurice rimase seduto sulla poltrona vittoriana, che lo faceva sentire come un re. Guardò i cassettoni del vecchio soffitto. Osservando gli incastri di legno, s’immaginò le travature a sostegno della volta di un cunicolo minacciato dal crollo, privo di un’adeguata ventilazione e con lo spauracchio di esplosioni di gas. Sentì un tonfo allo stomaco, come se qualcosa fosse precipitato pesantemente nelle sue viscere. Un’esclamazione di gioia, proveniente dal locale accanto, lo riportò alla realtà.

«Eureka!»

La donna ritornò col viso raggiante, mostrandogli un libricino.

«Caro signore, ho trovato un testo che fa al caso suo. S’intitola: “Esseri animali della mitologia”.» L’aprì e cercò l’indice.

«Eccolo, interessante... Qui sono riportati il cerbero che custodisce l’ingresso dell’Ade, l’Idra, un mostruoso serpente con tante teste, lo scorpione, lo scarabeo sacro agli egiziani, la fenice d’Arabia, un uccello della mitologia orientale e altri ancora… e qui, nelle ultime pagine, il suo amico drago... Beh…, vediamo un po’ ……. : stampato nel 1810. Oh, com’è vecchio! Comunque, non penso che da allora in poi siano state fatte molte nuove scoperte sui draghi. È mitologia e non invecchia: fa parte del collettivo umano universale. Mi tolga una curiosità, prima che continui a leggere, perché s’interessa ai draghi?»

Maurice, di fronte a quegli occhi indagatori ingranditi dalle spesse lenti, si sentì imbarazzato e rispose incerto:

«Non vorrei sembrarle un tipo strano o ridicolo, perciò pre-ferirei non rispondere alla sua domanda.»

«Ma caro signore, per quarant’anni ho venduto libri conside-rati strani e ridicoli dall’opinione pubblica. Non sa quanta gente ho visto gironzolare fra gli scaffali della libreria, sbirciando nei libri come se fossero riviste pornografiche. Siamo tutti un po’ strani. Per favore, non si crei problemi inutili con me,  anche se, a prima vista, le possa sembrare una donna piuttosto austera e bigotta.»

Dopo un attimo di silenzio imbarazzato Maurice si fece co-raggio e disse:

«Ecco, costruirò una galleria nel cuore del Massiccio Centrale. Sarà un’opera pioneristica e gigantesca. Il traforo più lungo del mondo. Trapasserà la montagna per circa quindici chilometri. Sarà una galleria che avvicinerà popoli con cultura e costumi diversi. Permetterà il passaggio nord-sud durante tutto l’anno. Terminati i lavori, il mondo non sarà più lo stesso: le distanze fra le metropoli si accorceranno, gli scambi s’intensificheranno e le culture s’amalgameranno. La galleria segnerà l’inizio di una nuova Era.»

«Caro signore, ne ho sentito parlare molto. Mi congratulo con lei; la sua visita mi onora. Ma i draghi cosa c’entrano con il traforo?»

«Ebbene, da quando mi occupo del progetto, la notte dormo malissimo: rivivo in continuazione il medesimo incubo, come se fossi in preda alla paranoia.»

«Perbacco, è un fenomeno normale, con così tante responsabilità sulle spalle.», osservò la donna.

«Sarà…» disse Maurice, con l’aria da cane bastonato, aggiungendo:

«Comunque sia, da alcuni giorni sogno uno spaventoso drago alato che m’insegue e mi tormenta. Nel sogno, come un pazzo, cerco di fuggire addentrandomi nei cunicoli bui della montagna alla vana ricerca di una via d’uscita. Durante quell’inutile fuga, con la sensazione che lo stomaco si rimpicciolisca come una noce e che il respiro si fermi, alla fine raggiungo sempre un vicolo cieco. Allora mi volto e cerco di ritornare sui miei passi, ma quell’essere infernale mi viene incontro, minaccioso, sbarrandomi la via d’uscita: in preda all’ansia, completamente sudato, con le mani gelate, come se mi avesse accarezzato la morte, mi sveglio di soprassalto.»

«Caro signore, sembrerebbe che una paura inconscia, ingigantita da una responsabilità professionale eccessiva, si manifesti assumendo le sembianze di un essere legato al suo lavoro, alla Terra e ai suoi antichi miti.»

«Ha ragione signora, è proprio così! I costruttori di gallerie affermano, in senso figurato, che bisogna sconfiggere il drago della montagna prima di poterla trapassare. In passato venivano coniate delle medagliette commemorative raffiguranti un minatore che con la lancia trafiggeva il drago. Ne ho sempre riso. Sono un tipo piuttosto razionale e non ho mai creduto a certe superstizioni.»

«Capisco…, ma è proprio sicuro che il drago voglia nuocerle? Forse cerca il contatto con lei, perché ha qualcosa di molto importante da rivelarle. Mi riferisco a un segreto, che giace nel profondo dell’animo, per esempio un fatto dimenticato, un trauma infantile, oppure un lutto mai elaborato. Il drago è una creazione della sua mente e custodisce i suoi segreti. Adesso, la creatura mitica si avvicina a lei per svelarglieli e ciò le fa paura. Capisce quello che cerco di dirle?»

«Sì e no: comunque la psicoanalisi della mia personalità non m’interessa. Preferisco dare un’interpretazione classica alla faccenda: io rappresento un grande pericolo per il drago e una costante minaccia per la sua montagna.»

«Beh, se lei vede la faccenda da questo punto di vista, allora è chiaro perché sta cercando queste informazioni: vuole conoscere la creatura che la tormenta. Vuole conoscere la sua forza e i suoi punti deboli, insomma si tratta di una battaglia onirica nei meandri dei suoi sogni: sconfiggere il drago, nevvero?»

«Sì, proprio così!» rispose Maurice spalancando gli occhi.

«Le posso offrire un’altra tisana?» chiese la donna incuriosita, volendo guadagnare tempo prima di comunicargli altre informazioni.

«No grazie, per la verità vado di fretta» rispose Maurice.

Lei, un po’ delusa, perché si accorgeva che la sua inaspettata e preziosa visita desiderava andarsene, s’affrettò a rassicurarlo.

«Non ne avremo più per molto: però non deve avere premura. Voi uomini, proprio non vi capisco: avete sempre fretta, volete essere sempre più veloci ed efficienti. Ancora non avete terminato un lavoro e già pensate al prossimo, proiettati morbosamente nel futuro, intenti a pianificare, progettare e costruire senza un attimo di pace. Tendete a seguire la linea della ragione invece che quella del cuore.»

«Signora, lei sta generalizzando. Anche se fosse vero, abbiamo le nostre ragioni. Noi uomini siamo imprenditori: dobbiamo agire se vogliamo costruire grandi opere. Personalmente, non posso sempre seguire la linea del cuore. Al punto in cui si trovano le cose, non posso più tornare indietro. Ho passato il “Rubicone” e i miei interessi personali non contano più. Ciò che per me conta ora, è la realizzazione dell’opera. Investirò tutte le mie energie, costi quel che costi. Per questo progetto andrò, se sarà necessario, fino all’inferno.»

«Attenzione a quello che dice! Non dipinga il diavolo sulle pareti: potrebbe pentirsi d’averlo detto.»

«Cara signora, non sia così superstiziosa, … l’ho detto tanto per dire. E adesso, per favore, mi legga il passaggio che parla del drago tralasciando tutti i dettagli.»

«Non le interessano i dettagli? Non sa quanta gente è finita male trascurandoli? Sa, caro signore, c’è chi vede la foresta e non l’albero e c’è chi vede l’albero e non la foresta. Caro ingegnere, lei dovrà occuparsi d’ogni singolo albero, senza mai perdere di vista la foresta.»

«Su questo le do ragione: solo così si acquista una visione completa delle cose; però mi permetta di aggiungere che, nel mio lavoro, l’andare troppo nei dettagli blocca le cose. Ho firmato un contratto che prevede dei tempi fissi di consegna. Ho otto anni a disposizione e, se il progetto dovesse durarne di più, pagherei una penale per ogni giorno di ritardo. Se mi dovessi soffermare su ogni dettaglio, non farei che ritardare i lavori. Per me il tempo è denaro. Per fare le scelte giuste, nella mia professione, contano il fiuto e l’istinto. I conti precisi li delego al contabile e al geometra e se è necessario, li metto sotto pressione per farli quadrare. Voglio linee rette nella mia vita. L’unico calcolo preciso per il quale non ho paura di perdermi nei particolari, è quello eseguito per misurare la direzione di scavo. Infatti, una misurazione sbagliata, ripetuta su più chilometri, potrebbe far sì che le due squadre di scavatori non s’incontrino a metà galleria. E adesso per favore mi legga quel benedetto passaggio e se lo ritiene necessario, anche i dettagli.  Grazie!»

Quel “grazie”, Maurice lo pronunciò di mala voglia, per terminare la conversazione. L’anziana signora se ne accorse.

«Il tono del suo “grazie” non mi piace. La nostra conversazione deve rimanere cortese senza trasformarsi in disputa: le faccio un grande favore a leggerle quello che le devo leggere: dopotutto, è stato lei a venire da me.»

«Le retribuirò il suo servizio, quindi mi tratti da cliente.»

«Non è una questione di soldi. Inoltre la mia libreria così come il servizio alla clientela sono chiusi.»

La pressione arteriosa di Maurice salì. Il cuore pompò più sangue nelle vene e il pugno si strinse. Aveva bisogno di quell’informazione, ma la donna indugiava. Se avesse potuto, l’avrebbe sedotta o ipnotizzata. Era troppo prossimo allo scopo della sua visita, per rinunciare e andarsene a mani vuote. Cercò di calmarsi e abbassando gli occhi, si scusò:

«Non volevo offenderla, ma vado di fretta. Ho parcheggiato male l’auto e il carro attrezzi potrebbe portarmela via.»

«Va bene, accetto le sue scuse, ma si calmi. La gatta frettolosa fa i gattini ciechi! La prossima volta parcheggi meglio la sua auto.»

Maurice fece ballare la gamba destra con nervosismo e respirò profondamente, senza lasciar trapelare sul viso la sua impazienza. La libraia aprì il libro alla voce “Drago” e dopo aver letto in silenzio alcune righe, spiegò:

«È proprio come immaginavo. Nella maggior parte delle religioni orientali, ma anche in quella cristiana, il drago è descritto come un essere maligno. È contrario a Dio e agisce contro il Messia. È alleato del demonio e cerca di ostacolare la luce per impedirle di raggiungere la terra e d’illuminare gli uomini. Il drago dell’apocalisse è rappresentato con sette teste; ogni testa corrisponde a un peccato capitale. Nelle favole e nei miti la vittoria sul drago significa la vittoria sul caos e sulle tenebre. Non sono riportate altre informazioni a parte qualche riferimento alla mitologia egiziana e babilonese.»

«Tutto qui?», commentò Maurice con una smorfia che lascia-va intravedere la sua profonda delusione.

«Sì, tutto qui, però consideri anche l’altra faccia della medaglia. Nella mitologia cinese, per esempio, il drago sale dalle profondità della terra portando la luce raccolta nel nucleo e, con essa, la dualità terrena. Caro signore, non si lasci ingannare dalla nostra tradizione popolare e impari a vedere oltre le apparenze dei nostri miti. Perciò le consiglio di dialogare con il drago: solo così riuscirà a cambiare i suoi sogni.»

Maurice non riusciva a capire il consiglio e lo respingeva. Istintivamente prediligeva una visione classica ed eroica: quella della spada sguainata pronta a recidere l’arteria coronaria del drago. Gli era impossibile dialogare con quell’essere mostruoso. Voleva combatterlo e scacciarlo dal dedalo dei cunicoli bui. Già immaginava di trovarselo di fronte: non si sarebbe lasciato sorprendere e non sarebbe fuggito. Avrebbe mantenuto la calma, perché chi ha paura perde. Lo avrebbe lasciato sputare fuoco mentre, proteggendosi con lo scudo, preparava le armi. Avrebbe saputo cogliere il momento giusto e tutto sarebbe successo velocemente, senza errori. Nel sogno sarebbe stato cosciente, preciso nei movimenti e distanziato come il torero nell’arena, che, nell’attimo culminante, guarda il toro mentre alza la lama.

La donna, come se avesse letto nei suoi pensieri, aggiunse:

«Non sia così sicuro di sé! Quando sarà di fronte al drago, non sguaini la spada, ma si trasformi in un cigno bianco e apra bene le ali. Se si addormenta turbato, con schemi bellici che le ronzano in testa, sarà il drago a sconfiggerla.»

A Maurice l’osservazione della signora non piacque, quindi non ci fece caso e subito se lo scordò. Considerando la conversazione terminata, si alzò dalla poltrona e la ringraziò. Le porse la mano ed ebbe la sensazione che lei non volesse lasciarlo andare. La donna l’accompagnò fino alla rampa di scale e lo guardò, preoccupata e silenziosa, mentre scendeva. Maurice si voltò un’ultima volta. Vide che la libraia l’osservava con tristezza melanconica. Sentiva che voleva dirgli ancora qualcosa. Per un attimo ebbe la sensazione che un essere bianco alato e misterioso lo avesse sfiorato. I loro occhi s’incontrarono e un sorriso dolce con una punta d’amarezza apparve sulle loro labbra. Non appena varcò l’uscio, i suoi pensieri fuggirono via veloci verso la strada.

Quando si ritrovò sul viale, i lampioni erano già accesi. Quel periodo dell’anno aveva un timido crepuscolo: non appena il sole tramontava, calava la notte.

 

Incertezze

Sul passo incontrò banchi di nebbia. Una leggera spolverata di neve aveva imbiancato il paesaggio. Sperava che l’inverno tardasse, così da poter percorrere la strada carrozzabile ancora per qualche settimana. Superando il passo, pensò ai pionieri che in passato lo avevano valicato anche in inverno con le slitte stracariche di merce trainate dai cavalli da tiro, nonostante le condizioni proibitive e la minaccia delle valanghe.

 Il viaggio durò più del previsto. Giunse a Carno solo a tarda notte, mentre la cittadina dormiva. Ebbe l’impressione che il borgo non fosse rimasto al passo con i tempi. Il traforo avrebbe cambiato tutto. Avrebbe fatto costruire dei prefabbricati per ospitare i suoi operai. Le viuzze si sarebbero animate di lavora-tori e, tutti i fine settimana, anche i loro familiari sarebbero venuti a visitare i cantieri del secolo. Nei caffè e nei ristoranti non si sarebbe più parlato solo il dialetto del luogo, ma anche l’italiano, il francese, il portoghese, lo spagnolo e forse anche il turco. Ad opera terminata, i treni sarebbero transitati con cadenza regolare. Alcuni si sarebbero fermati anche lì, permettendo a centinaia di turisti di visitare quei luoghi magnifici e ancora incontaminati. Maurice già si sentiva un alfiere della modernità: grazie a lui quella cittadina avrebbe aperto la porta alla prosperità e al benessere.

Dovette suonare più volte il campanello dell’albergo prima che venissero ad aprirgli. Il portiere, colto da un sonno improvviso, si era addormentato trascurando i clienti della notte. Ricevette una camera doppia con il letto a baldacchino. Esausto si sdraiò e fu subito colto da un sonno improvviso, che non gli lasciò neppure il tempo di svestirsi. Quella notte il drago del sogno lo lasciò tranquillo e lui quasi ne rimase deluso. Gli sembrava, grazie alla conversazione con la libraia, di averlo già sconfitto o perlomeno lo aveva relegato in un cantuccio profondo della mente.

***

Si svegliò molto presto, prima ancora del sorgere del sole, di buon umore. L’inizio dei lavori era imminente e non voleva perdere tempo: quello a disposizione era poco e ogni giorno perso gravava sulla sua impresa e sulla sua futura pensione. In primavera avrebbe fatto iniziare gli scavi d’esplorazione da ambo i portali. Finalmente le trivellatrici avrebbero martellato la montagna, rompendo l’incantesimo che separa il giorno dalla notte. Maurice s’immaginava già come le poderose macchine avrebbero forato il minerale, come i candelotti di dinamite sarebbero esplosi, sbriciolando con forza dirompente la roccia, metro dopo metro.  Ogni nuova esplosione avrebbe lanciato una miriade di frecce contro il drago alato.

Davanti allo specchio si sentì uomo come non mai, a tutti i meriti. Quel traforo gli dava una forza interiore e sollevava il suo morale alle stelle. Si regolò la folta barba, si lavò e si profumò abbondantemente con acqua di Colonia. Poi scese al pian terreno a fare colazione. La grande sala da pranzo era ancora deserta. Si sedette a un tavolo apparecchiato. Il cameriere gli portò del caffè-latte, pane, burro e marmellata. Terminata la colazione, avendo ancora molto tempo a disposizione prima della riunione, uscì dall’albergo. Una passeggiata all’aria aperta, sulla riva del lago, gli avrebbe sicuramente giovato.

Trovò la riva deserta e lo specchio d’acqua ricoperto da una leggera nebbiolina mattutina, pronta a sparire ai primi raggi di sole. C’erano dei gabbiani: alcuni stavano volando, altri sostavano sul parapetto. I cormorani s’inabissavano nelle acque fredde cercando cibo sul fondale melmoso. Sotto il pontile c’erano dei cigni che si pulivano le piume con il becco .

Ancora qualche giorno e poi sarebbe ritornato a casa. Da alcuni mesi trascurava la moglie; il loro matrimonio stava andando alla deriva, mentre lui, con i suoi pensieri, s’infossava sempre di più nella montagna, rimanendoci imprigionato. I frequenti soggiorni fuoricasa si erano intensificati. La lontananza gli pesava, ma ormai aveva posto il traforo e gli affari al disopra degli affetti personali. Con i suoi cari poteva condividere solo una piccola parte della propria vita. Era il prezzo che doveva pagare; il desiderio di portare a termine il suo progetto ormai ruotava come una turbina a pieni giri e solo un avvenimento straordinario avrebbe potuto bloccarlo.

Ritornò all’albergo. Entrò nella sala delle riunioni. Era vuota ma notò che quasi tutti i posti a sedere erano stati occupati con cartelle, giacche, blocchi per note e altro ancora. Il posto a capo-tavola rimaneva libero: era stato riservato a lui. Aspettò in piedi. Attraverso la vetrata guardò lo specchio del lago: la nebbiolina si era diradata. Un gruppetto rumoroso di persone entrò nella sala. Ci fu un momento di silenzio, quasi di stupore generale, però nessuno dei nuovi arrivati ebbe un attimo d’esitazione nel riconoscerlo. Uno di loro si staccò dal gruppo e gli andò incontro passo deciso, tendendogli la mano.

«Mi fa molto piacere rivederla così presto signor Mafre. Altrimenti avrei potuto pensare che l’appalto fosse stato aggiudicato a qualcun altro.»

Maurice sorrise e disse:

«Mi piace la sua schiettezza signor Müller. Anche a me fa piacere rivedere l’ingegnere cui ho deciso di affidare i lavori del lato nord.» I due si strinsero calorosamente la mano. Altre due persone si avvicinarono.

«Signor Mafre, mi permetta di presentarle i migliori geometri zurighesi dell’istituto federale “Pesi e misure” e del Politecnico. Gli altri sono i miei assistenti: tutte persone di prima linea, capaci e fidate, pronte a sacrificarsi per quello che fanno.» Maurice lo interruppe, abbozzando un sorriso smorzato:

«Spero che non sarà necessario. Il contratto di lavoro con la mia impresa non prevede l’estremo sacrificio.»

«Chiaramente! Era solo in senso figurato, lei capisce ciò che intendo dire.»

«Certamente!» Altre persone si unirono all’impresario per salutarlo di persona. Maurice strinse loro la mano scambiando alcune parole di cortesia. L’atmosfera si andava rilassando. Tutti si sedettero e l’imprenditore guardò ognuno negli occhi, volendo conoscere meglio i membri della sua squadra di punta. Poi prese la parola.

«Buon giorno a tutti. Ci aspetta una grande opera: un’impresa immane da affrontare insieme. Inizierò col raccontarvi un piccolo aneddoto. Quando scalavo le vette, con i compagni di cordata parlavamo sempre degli ultimi grandi irrisolti “problemi” delle Alpi. Menzionavamo quella parete oppure quell’altra ancora. Sapevamo che presto o tardi uno scalatore sarebbe riuscito a tracciare una linea di salita su quei versanti inviolati di roccia e di ghiaccio, superando placche, diedri, fessure e speroni per giungere finalmente in cima, risolvendo così il “Problema”. Su quelle pareti dominava la verticale e, oltre alla difficoltà della salita, c’erano tanti altri pericoli in agguato, come le cattive condizioni meteorologiche, la caduta di pietre e altro ancora, che rendevano l’impresa più difficile. Ebbene, anche noi oggi ci troviamo di fronte ad un problema da risolvere, ma, nel nostro caso, non sarà la verticale a dominare, bensì l’orizzontale. Non lavoreremo a cielo aperto, sotto il sole o le nuvole, bensì dentro la montagna, nel buio. Anche noi incontreremo pericoli, come le infiltrazioni d’acqua, le esplosioni o il cedimento della volta, se non è ben armata. Tuttavia la nostra impresa non si compirà nella completa solitudine che accompagna lo scalatore. La nostra “scalata” sarà possibile grazie a un lavoro di squadra. Solo così potremo connetterci, a metà mon-tagna, con i minatori che ci verranno incontro dall’altra parte. Chiudendo questa parentesi, dichiaro aperto il cantiere del secolo!»

Tutti applaudirono. Nella sala entrarono due belle inservienti portando caffè, acqua minerale e ciambelle appena sfornate. Il discorso fu ripreso dagli ingegneri responsabili dei due portali, i quali accennarono ai problemi maggiori che, con ogni probabilità, avrebbero incontrato durante lo scavo. Partendo da nord il cunicolo da scavare destava le preoccupazioni maggiori: a mille metri sopra la galleria c’era un laghetto e quindi durante lo scavo si prevedevano ingenti infiltrazioni d’acqua. Si doveva imporre al tracciato una maggiore inclinazione e perciò il portale nord sarebbe stato progettato, per questioni di sicurezza, un poco più basso del previsto. Con una maggior pendenza della galleria si permetteva all’acqua di scorrere più velocemente verso l’uscita senza l’ausilio di pompe, evitando così la formazione di pericolose pozze d’acqua. Secondo i tecnici il problema più difficile da affrontare era l’attraversamento di una zona geologicamente instabile. Alcuni prelievi di roccia avevano evidenziato l’esistenza di una vena calcarea molto porosa. Era l’incognita più grande e gravava sopra il traforo come la spada di Damocle. I geologi consigliavano di evitare la vena. Ciò sarebbe stato possibile solo modificando il rettilineo della galleria e, alla peggio, imponendo una curva al tracciato, nel cuore stesso della montagna. L’impresario inorridì al sentire parlare di curve. Fece una smorfia di disapprovazione e ignorò i suggerimenti dei geologi. Pensava che si trattasse di una vena poco spessa, destinata a esaurirsi dopo solo pochi metri e quindi il problema si sarebbe risolto facilmente con un’armatura supplementare alla calotta.

Quella stessa sera, dopo cena, rimasto solo con le sue scartoffie nell’atrio dell’albergo, per la prima volta iniziò a dubitare della riuscita della sua impresa: cominciava ad avere un cattivo presentimento e ciò prima ancora che avessero dato una sola picconata al portale principale. Avvertiva che quel traforo creava dello scontento fra la gente. Infatti, c’era chi non lo vedeva di buon occhio e gli augurava che la volta della galleria crollasse sotto il peso della montagna o che il tubo fosse allagato da un’acqua glaciale o ancora che incontrasse roccia friabile, impossibile da armare. Le ombre di quei malauguri gli giravano attorno come pipistrelli che aspettassero un suo momento di debolezza o di disattenzione per succhiargli la linfa vitale.

L’arrivo della cameriera lo distrasse da quei pensieri cattivi. Era una giovane donna, bruna, con movimenti agili e graziosi. I suoi lineamenti dolci e marcati calamitarono per un attimo la sua attenzione. L’aveva già osservata con discrezione durante la conferenza al mattino, mentre gli serviva il caffè e gli aveva, per un attimo, fatto perdere il filo del discorso.

«Desidera qualcos’altro, signor Mafre? » chiese la cameriera con accento tedesco.

«Sì grazie, mi porti per favore un espresso corretto con grappa.»

Non appena la donna se ne fu andata, Maurice tolse dalla cartella un blocco notes e un incartamento con una copia del contratto firmato a Lucerna. Doveva rileggere i documenti e preparare alcune note. Nel documento erano commissionati 14'900 metri di galleria, compresi i binari e due stazioni; l’una posta al portale sud, l’altra a quello nord. La sua impresa avrebbe ricevuto 4’780'430 franchi; 3'208 franchi al metro. La somma sarebbe dovuta bastare per gli otto anni di lavoro preventivati e avrebbe dovuto coprire tutte le spese dell’opera: i salari di migliaia di persone, una notevole quantità di materiale, i macchinari e le locomotive adibite al trasporto di merce e operai. Non era del tutto certo che la somma sarebbe bastata. Con l’aiuto degli amministratori, degli attrezzisti e dei geometri aveva cal-colato più volte l’ammontare totale. Avevano passato intere notti in bianco a fare calcoli su calcoli, ma il risultato finale non era mai cambiato molto. Forse, in preda alla febbrile angoscia di poter perdere l’appalto, avevano commesso un errore di valutazione. Forse avevano sottovalutato i tempi di perforazione del traforo e i rischi: però era ancora troppo presto per poterlo verificare. Pensò che la prudenza non era mai troppa, perciò l’indomani, di prima mattina, avrebbe rivisto con l’amministratore, per l’ennesima volta, i calcoli e cercato, tra le migliaia di cifre, i possibili margini di manovra e di correzione. Avrebbe cercato una via di scampo e alla men peggio si sarebbe rivolto al banchiere zurighese, che gli aveva finanziato l’appalto, per ottenere un credito supplementare.

La cameriera ritornò e depose il caffè e la grappa sul tavolo. La ringraziò, cercando di rubare un sorriso a quella ragazza così lontana dal suo universo di cifre e di lavoro, però così vicina a lui in quel momento di sconforto.  Il sorriso non si fece attendere e gli bastò.

Quella notte, nei suoi sogni, rivide il drago. La sua strategia di guerra svanì non appena il drago, più inferocito che mai, si avvicinò sputando fuoco e illuminando a giorno i cunicoli bui e deserti. Era diventato molto più grande: era lungo forse cento metri, con la testa di coccodrillo, gli artigli di una tigre, le corna di un cervo e le orecchie di un toro. Per sfuggirgli si gettò in un pozzo d’areazione, di cui non vedeva il fondo, e ciò lo svegliò di soprassalto. Si sentiva  le mani gelate e avvertiva un’aria fredda provenire dalla finestra lasciata leggermente aperta. Si alzò e guardò attraverso i vetri. Era una notte buia e piovosa. Il lago era grigio-scuro, quasi nero e nascondeva la sua dolcezza dietro i banchi di nebbia che si stavano formando come spettri della notte. Chiuse la finestra e si ricoricò, sentendosi molto solo. Con le lacrime agli occhi si addormentò, rannicchiato su se stesso, sperando che il giorno dopo sarebbe riuscito a uscire dal proprio cunicolo di tristezze.

 

L’anno del dragone

Nella sala delle riunioni sedevano nervosi l’amministratore e il suo assistente. Era l’ultimo incontro dell’anno. Poi ognuno sarebbe tornato a casa propria e fino agli inizi di gennaio non si sarebbero rivisti. Sapevano che i loro calcoli non avrebbero più quadrato, se i piani di scavo fossero stati, anche solo minima-mente, modificati. Consapevoli del fatto che un allarmismo eccessivo non avrebbe giovato a nessuno, cercavano di rimanere oggettivi, analizzando la situazione con la calcolatrice. Maurice entrò d’umore nero con un sorriso tirato nella sala. Strinse loro la mano e si fece portare un caffè dalla cameriera. Era l’unica persona che, in quel momento, gli risollevava un po’ il morale. Il suo sguardo indagatore si soffermò insistentemente all’altezza della camicetta leggermente scollata che lasciava intravvedere i seni. Il vestito nero e il grembiule bianco stretto in vita gli piacevano veramente. Gli amministratori, al contrario, sembravano dei corvi neri che beccassero nei suoi libri contabili, pronti a marcare con la matita rossa ogni errore di calcolo.

«Che avete da guardarmi così: non avete mai visto un uomo ammirare una donna e guardarle i seni?» chiese in tono aggressivo. La ragazza arrossì e gli altri due uomini impallidirono. Poi la cameriera, dopo aver servito il caffè con mano tremante, uscì dalla sala con passo frettoloso, senza voltarsi indietro.

«Scusatemi. Allora facciamo il punto della situazione. Le cifre le conosciamo ormai a memoria. Sappiamo a quale voce contabile possiamo procedere con dei tagli. Abbiamo molti costi fissi, ma chiederemo degli sconti supplementari alle ditte fornitrici di materiale. Se ora progettassimo una curva, allungheremmo i tempi di scavo, quindi dovremmo aumentare i ritmi di lavoro e le volate giornaliere, perforando la montagna fino a raggiungere le sue radici più profonde. Però, più lavoro, significa anche più salario. I salari di più di cinquemila persone ammontano già quasi alla metà della somma preventivata. D’altro canto, non possiamo rinunciare a centinaia d’operai, se vogliamo terminare la galleria in tempo. La mia proposta è di diminuire i salari agli operai. Inoltre faremo in modo che spendano il loro denaro nei nostri spacci. Ci sono obiezioni in merito?»

Il capo contabile, arricciando il naso, obbiettò:

«Sarà difficile abbassare i salari della manovalanza: rischieremmo degli scioperi.»

«Lo sciopero è proibito e se dovesse succedere, manderò la polizia a intimidire le teste più calde.» rispose in tono duro l’imprenditore. L’altro non osò più aggiungere altro.

«Bene! Sono più che mai convinto che le nostre macchine trivellatrici siano le migliori al mondo e che la tecnica di scavo sia alla punta del progresso. Sfonderemo la montagna come l’ariete le mura di un castello: “del mai visto prima”! Vedrete, ce la faremo, ma sarà necessario un assoluto rigore nel controllo dei costi. Tutte le offerte, tutti i preventivi, tutti i consuntivi dovranno essere vistati da almeno due persone. Ogni fine settimana voglio vedere sul mio tavolo il resoconto dei costi e le proiezioni. Ci siamo capiti?» Nessuno obbiettò.

Dopo aver fatto le ultime raccomandazioni, l’impresario congedò i contabili e rimase solo nella grande sala, come un re nella propria reggia. Si rendeva conto di aver monologato invece di cercare il dialogo con i suoi collaboratori, ma non aveva avuto altra scelta. Doveva affrontare il toro di petto e prenderlo per le corna. Suonò il campanello di servizio, sperando di rivedere la bella cameriera, come una musa ispiratrice di fantasie d’amore, ma con sua grande delusione si avvicinò un cameriere. La cercò discretamente più tardi al ristorante e al bar, senza successo. Tutti i suoi collaboratori se n’erano andati dall’albergo, frettolosi di partire, come se la terra stesse bruciando sotto i loro piedi. Non gli rimaneva che preparare la valigia e rientrare a casa.

Partì poco dopo mezzogiorno. Contava di arrivare a Ginevra prima di sera. Valicò il passo senza incontrare ostacoli. La poca neve dei giorni precedenti si era sciolta, ma l’autunno stava ormai cedendo il posto all’inverno e al freddo. Le vette più alte erano già imbiancate di neve. Tutti gli alpeggi di montagna erano deserti e silenziosi, senza gli animali e il tintinnio delle loro campanelle. Dando pieno sfogo alle sue frustrazioni, durante il viaggio aveva spinto a fondo il piede sull’acceleratore della sua auto potente, mettendo spesso a repentaglio la propria vita e quella degli altri con pericolose manovre di sorpasso. Più volte aveva sentito i clacson di altre auto suonare rabbiosamente  e più volte aveva stretto la lingua fra i denti, quasi volendo auto-punirsi. Giunse a Ginevra prima del previsto.

La città stava festeggiando l’”Escalade”. Era la festa commemorativa più importante per i ginevrini, che cercavano di trasformarla in quel carnevale per secoli proibito dai riformisti. Per le strade sfilavano gruppi di persone con vestiti d’epoca e armate con alabarde e archibugi. Ogni tanto si fermavano e spa-ravano a salve: allora un fumo denso annebbiava la via. Maurice non se la sentiva di ritornare subito a casa con quell’ansia che lo schiacciava. Preferì girovagare un po’ per le strade e per le viuzze della “Vielle Ville” aspettando di ritrovare la propria tranquillità. 

Cenò in un’osteria famosa per i suoi squisiti “Gratin Dauphinois”. Dopo un paio di bicchieri di “Baujolais nouveau”, cominciò a sentirsi meglio. Telefonò a casa, annunciando il suo prossimo arrivo. La telefonata fu breve e sentì sua moglie un po’ distaccata, come se non fosse poi così contenta del suo ritorno. Ovviamente le lunghe assenze pesavano sul loro rapporto co-niugale. Bevve un paio di bicchieri in più del solito e poi, un po’ annebbiato, uscì sulla piazzetta. Mancavano meno di venti giorni al nuovo anno. Avrebbe passato il Natale con la sua famiglia, cercando di conciliare il lavoro con il poco amore rimasto.

Sulla piazza vide un gruppetto di persone che portavano un drago serpente. Il costume gli parve un po’ anacronistico, anche se non era la sola maschera bizzarra che s’incontrava per le strade. Incuriosito la seguì per un lungo tratto di strada, guardando i movimenti aggraziati del drago-serpentone verde. Il gruppo mascherato si fermò davanti a un caffè e si sfilò il costume. Erano degli impiegati del consolato cinese. Maurice si avvicinò e apostrofò quello che portava la testa del drago.

«Buona sera, che bel drago avete confezionato! È la prima volta che ne vedo uno così lungo. Ma avete un motivo particolare per sfoggiare questo particolare costume per le strade?»

L’altro rispose sorridendo:

«Certamente: è per via dell’anno del dragone. È il prossimo previsto nel calendario cinese, però a dire il vero, comincerà solo a fine gennaio: noi vogliamo festeggiarlo già ora, perché qui a Ginevra non sono previste manifestazioni mascherate all’inizio dell’anno prossimo.»

«Per voi cinesi, l’anno del dragone ha un significato particolare?» domandò Maurice?

«Eccome! Ne ha tanti, per di più è l’unico animale mitologico che conosciamo nel nostro oroscopo. Gli altri undici, come per esempio il cane, il bufalo e il cavallo, sono tutti animali terrestri, ma il Drago trascende l’universo terrestre.»

«Interessante» – borbottò Maurice fra i denti – e aggiunse: «Mi piacerebbe conoscere qualche cosa di più sul vostro mitico drago: perciò, vorrei invitarla a cena, le andrebbe d’incontrarci qui, in questo caffè, fra due giorni verso le sette?»

L’altro accettò e poi sparì con i suoi colleghi dentro il caffè. Maurice non era sicuro di rivederlo, si sarebbe comunque recato all’appuntamento.

Quando giunse a casa, gli venne ad aprire la domestica. «La signora si sta preparando per uscire» l’informò premurosamente. Maurice si accorse subito che l’arredamento, dal suo ultimo soggiorno, aveva subito notevoli cambiamenti. Sapeva che a lei piaceva cambiare l’ordine delle cose, ma questa volta si era separata, senza avergliene parlato prima, da alcuni mobili che avevano comprato insieme poco dopo il matrimonio. Aveva come l’impressione che sua moglie si stesse sbarazzando di parte del loro passato. Maurice ci restò molto male, anche se il nuovo arredo dava un’aria più moderna e sofisticata all’appartamento. La sentì muoversi nervosamente nella stanza da letto. Quando entrò, notò che sua moglie era molto truccata e incipriata. Un rossetto acceso faceva risaltare le sue labbra poco marcate. Si abbracciarono brevemente, scambiandosi un bacio leggero e furtivo. Lui pensò per via del rossetto.

«Caro, com’è andato il viaggio?» chiese lei senza un vero interesse.

«Bene, c’era poco traffico. Ho visto che hai sostituito alcuni mobili dell’appartamento».

«Ti piace il nuovo arredamento?» chiese lei stringendo un po’ le labbra e abbassando gli occhi, aspettandosi una reazione di disapprovazione da parte del marito.

«Avresti potuto parlarmene prima, abbiamo sempre fatto le cose insieme.» rispose lui stizzito.

«Pensavo di farti una bella sorpresa per Natale, ma vedo che questa mia iniziativa non ti garba.»

«Non intendevo questo, ma……..tutto così…all’improvviso.»

«Te ne avevo parlato, ma tu, come al solito, non mi hai ascoltato. Sei sempre fra le nuvole, quando stiamo insieme, assorto nei tuoi pensieri, rintanato nei cunicoli della tua vita.»

«Lo so, mi sforzo d’uscirne, ma mi è molto difficile. Ho troppe preoccupazioni. Comunque adesso è fatta e poi il risultato in fondo mi piace: dà un tocco di modernità.»

«Sono contenta che la pensi anche tu così. Se hai fame, ci sono dei resti nel forno da scaldare. Ho appuntamento con le amiche in città e sono in ritardo. Sai, non ti aspettavo già stasera.»

«Non preoccuparti per me, va e divertiti.» Si abbracciarono brevemente e poi lei uscì. Lui avrebbe preferito che la moglie, in futuro, venisse ad abitare vicino al traforo, trascurando Ginevra. Se lei lo avesse seguito per amore, allora l’avrebbe incoronata regina dei cantieri, così come avrebbe incoronato duchesse o contesse tutte le donne che avessero raggiunto i loro uomini, nonostante tutta quella polvere cristallina che s’infiltrava nei polmoni. La moglie non lo desiderava, anzi si allontanava sempre più da lui. Il rinnovo dell’appartamento così come il rossetto, per far risaltare le labbra, erano per lui tutti indizi che lo confermavano: con lei tutto stava diventando incerto e provvisorio. Però non la biasimava: accettava silenziosamente, come se fosse ineluttabile, che lei si costruisse una nuova vita, parallela alla sua e distante dal suo binario. Nel loro rapporto avevano incontrato un ostacolo che li aveva inesorabilmente separati. Maurice credeva ancora a un loro futuro in comune, anche se rimaneva un solo filo a unirli: continuava a sperare che una volta uscito dalla galleria, sotto una nuova luce, le cose si sarebbero accomodate e i loro binari uniti di nuovo.

Due sere dopo Maurice si recò all’appuntamento al caffè della “Vielle Ville”. Il cinese giunse puntuale e fece un inchino. Mauri-ce sorrise stupito e gli porse la mano. Gli piacque subito quella persona cortese e solare. Poco dopo i due sedevano a un tavolo di un ristorante cinese della “Rue Basse”. Per Maurice era una novità e si sentì immediatamente a suo agio in quell’ambiente, dove dominavano il rosso, il nero e l’oro. Gli piacevano il servizio squisito e discreto e gli abiti di seta riccamente bordati che indossavano le cameriere. Il cinese era molto ciarliero; raccontò della sua vita, del suo paese e della sua provincia, situata nella Cina orientale. Parlò della famiglia, della fortuna che aveva avu-to nel poter studiare e della cucina:

«Vedrà apprezzerà la nostra tavola: le suggerirei di ordinare un piatto agro-dolce e del riso cantonese. Noi generalmente beviamo del tè durante i pasti, però qui hanno anche degli ottimi vini», poi aggiunse: «Lo so che a voi europei può sembrare strano, ma noi ci cibiamo di tutto ciò che striscia, vola, cammina o nuota. Molti di voi sono invece vegetariani. Altri pensano che non si dovrebbero mangiare gli esseri viventi che hanno occhi, perché sono una finestra di Dio aperta sul pianeta. È bello pensare così però, a mio avviso, è un modo diverso di vedere le cose, forse suggerito dallo spirito. Possiamo sembrarvi strani, insensibili, freddi, ma in realtà non è così. Siamo solo in tanti e i diritti di alcune minoranze a volte sono sacrificati per il bene di tutti gli altri: quando parlo di bene, intendo “la vita”. Se è giusto o sbagliato, sarà solo la storia a giudicarlo: per il momento è così. Ci vuole tempo e noi ne abbiamo molto per cambiare le cose. Abbiamo imparato a tacere. Il nostro grande filosofo Confucio diceva che è meglio tacere e dare l’impressione di essere ignoranti, piuttosto che parlare e togliere ogni dubbio di esser-lo.» Maurice lo interruppe:

«Ammetto la mia ignoranza in tante cose, ma se taccio non posso esprimere i limiti del mio sapere e confrontarli con il sapere altrui. A volte si tace semplicemente per paura di sbagliare, per non ferire il proprio orgoglio. Se si vive con questa paura, l’espressione personale diventa un monologo interiore e questo, io non lo voglio. Adesso piuttosto, mi racconti qualcosa del vostro mitico drago nazionale.» Il cinese annuì:

«Nella nostra mitologia, il drago è una manifestazione del be-ne. Non è in conflitto con il Creatore e la creazione. Il drago è legato alla Terra e ne protegge i tesori. Influisce sulle forze della natura e sulla fertilità. Ha la forma di un lungo serpente, con il muso di coccodrillo e le zampe di una tigre o di un rapace. È l’insieme di tutti gli animali: non ha le ali ma può volare. C’è anche una costellazione del Drago. Il drago si appende sull’uscio delle case per tenere lontano i demoni. In passato, durante i periodi di siccità, gli si dedicavano delle cerimonie, perché mandasse la pioggia.»

Maurice lo interruppe bruscamente e, rompendo il proprio indugio, gli raccontò il sogno. L’altro l’ascoltò con attenzione, poi commentò:

«Interessante. C’è un certo parallelismo con il nostro passato. All’inizio del secolo scorso, molti contadini si erano opposti alla costruzione della ferrovia in Cina, dicendo che i chiodi e le traversine indisponevano i draghi, che vivevano nelle viscere della terra. Le suggerirei di modificare radicalmente il suo atteggiamento nei confronti del drago: gli lasci fare le sue scorribande nel tunnel, a mio avviso ha solo paura.»

«Lei è la seconda persona a dirmi queste cose. Cercherò di seguire il suo consiglio, anche se non mi sarà facile.»

Detto ciò, l’argomento drago fu messo da parte. Continuarono a conversare sugli usi e costumi dei reciproci Paesi. Più tardi si salutarono con un arrivederci, che suonò come un addio. Maurice guardò il cinese allontanarsi immaginando di vedere la coda del drago che se ne andava con lui.

 

Sconfiggere il drago

Maurice trascorse tre settimane a Ginevra, dividendo il proprio tempo fra il lavoro, gli amici e la moglie. Cercò di rimettere insieme i cocci rotti di un matrimonio che andava alla deriva e viaggiava su un binario morto, ma con poco successo. Quando lasciò la città, per ritornare al cantiere, aveva le lacrime agli oc-chi e un vento gelido soffiava dal lago. Aveva la sensazione d’andare a combattere per una causa persa e di essere già sconfitto in partenza.

Il passo era chiuso e in alternativa scelse un percorso più lungo, ma più comodo e diritto. D’altronde aveva bisogno di allontanarsi un po’ dal suo paese, anche se solo per alcune ore. Sarebbe passato per la Savoia e ne avrebbe approfittato per fermarsi a Milano, per fare una breve visita a un vecchio amico, che non vedeva più da molto tempo. Giunse in città al crepuscolo. Si era alzata una leggera nebbia, che nascondeva gli edifici in fondo ai larghi corsi. Sicuro di non trovare parcheggio in centro città, parcheggiò l’auto in periferia, vicino a una stazione di metropolita. Aveva paura che qualcuno gliela rubasse, perciò la posteggiò ben in vista sotto un lampione. Quando scese le scale della stazione della metropolitana, si sentì nel suo ambiente, un mondo sotterraneo fatto di cunicoli e d’oscurità. Il treno non tardò ad arrivare. A quell’ora i vagoni erano semi-vuoti. Scese in centro città. Costeggiò il Duomo e si fermò davanti ad un edificio signorile. Suonò il campanello e attese con una leggera ansia. Dal citofono sentì una voce familiare chiedere:

«Chi è?»

«Ciao Leo, sono io, Maurice.»

Il portone s’aprì e con l’ascensore salì fino al terzo piano. Un uomo di corporatura snella e pressappoco della sua età lo stava aspettando sull’uscio dell’appartamento. I due si diedero la mano e poi si abbracciarono calorosamente.

«Sono così contento di rivederti, Leo» disse l’impresario.

«Anch’io, Maurice» rispose l’altro con l’aria un po’ perplessa.

«Mi hai fatto una bella sorpresa: entra prego.»

«Non vorrei disturbarti.»

«Ma non dire cretinate: lo sai che mi fa sempre piacere rivederti. Togliti piuttosto il cappotto e vieni nel salone. Mia moglie non è in casa: si è recata a un’esposizione d’arte contemporanea e tornerà tardi.»

«Beh, allora salutamela» aggiunse Maurice in tono un po’ deluso.

«Certamente, però potresti anche aspettarla e dormire qui: per te c’è sempre un letto a disposizione.»

«Preferirei continuare il viaggio oggi stesso.»

«Ti capisco: hai ancora molta strada da fare. Stai andando o ritornando da Ginevra?»

«Sto ritornando.»

«Posso offriti qualcosa?»

«Volentieri: dell’acqua e un caffè, così resterò sveglio durante il viaggio.»

«Non mi hai ancora detto qual buon vento ti porta: non sei mai venuto a trovarci senza un preavviso.»

«Lo so. La mia è una visita spontanea: passavo da queste parti e ho pensato di farvi una sorpresa.»

«Non ci credo. Per favore Maurice, non raccontarmi frottole… ti conosco da troppo tempo. Comunque sia, dimmi piuttosto come va il progetto?»

«Mi hanno aggiudicato l’appalto.»

«Porca miseria, allora hai fatto il colpo grosso!»

«Sì, ma forse è troppo grosso: non ho ancora dato una martellata a quella benedetta montagna e già me ne pento.»

«Non ti capisco: hai lottato e lavorato così tanto per farti commissionare l’opera.»

«Lo so. Forse è nata sotto una cattiva stella. Incontro problemi su problemi; crescono come funghi.»

«Non preoccuparti dei problemi: se crescono come funghi, appena passa la stagione, non ne troverai più.»

«Sei positivo come sempre. Rimanendo in tema, sono del pa-rere che si trova sempre una qualche amanita falloide sul cammino.»

«Sì, ma i cercatori di funghi come te, sanno riconoscerle: basta non raccoglierle. Quindi le tue preoccupazioni sono la ragione di questa visita improvvisa?»

«A dire il vero sì, una, in particolare, sta diventando per me una paranoia. Per l'appunto, pensavo che tua moglie avrebbe potuto aiutarmi a togliermela dalla testa.»

«Se mi racconti il tuo problema, lo riferirò a mia moglie. Le dirò di chiamarti: queste cose si possono risolvere anche per tele-fono.»

«Va bene, ma ti prego non metterti a ridere.»

«Cercherò.»

«Ecco, si tratto di un drago.»

«Favole?»

«No, sogni.»

«Mia moglie è veramente la persona più adatta per i sogni. Quel  poco che so sul tema, l’ho imparato da lei: analizza e interpreta il mondo onirico meglio di qualunque altro. Ha una grande sensibilità e sa darti suggerimenti molto pertinenti.»

«Lo so, mi ha già aiutato in altre occasioni.»

«Però, a dire il vero, anch’io sono curioso di sapere. Non preoccuparti e raccontami il sogno che ti tormenta. Saprò riferire a Tessa tutti i particolari.»

Maurice, spronato dall’amico, raccontò i sogni che ancora ricordava, aggiungendo ciò che aveva saputo dalla libraia e dal cinese. Leo lo ascoltò attentamente e non appena Maurice ebbe terminato di raccontare le sue disavventure nei cunicoli della galleria, che non esisteva ancora, chiese:

«E la libraia non ti ha detto nient’altro?»

«Non che io me ne ricordi.»

«Nessuna chiave o qualche altro indizio? Per esempio, come dovresti comportarti…non lo so…qualcosa, una tattica. I consigli del cinese sembrano suggerire un comportamento più conciliante.»

«Sì, hai ragione entrambi mi hanno parlato di calma, di sangue freddo, insomma qualcosa del genere. Ma io non sono un maestro del sogno: i sogni li subisco o li sfuggo.»

«Ti capisco però pensaci su lo stesso. Forse, caro Maurice, mancano altri elementi. Sai i sogni sono come dei puzzle. A proposito, mi viene in mente qualcosa, riguardo al tuo sogno. Di recente ho visto dei graffiti nella metropolitana e credo di aver intravisto, come un flash, in mezzo a tante immagini stilizzate, un drago. Però non ne sono del tutto certo, il treno sul quale viaggiavo era in movimento.»

«Ah! Molto interessante: in quale stazione?»

«Non me la ricordo di preciso, però è una della linea rossa, in direzione di Rho: forse due o tre stazioni da qui, non di più.»

«Che coincidenza! Ho parcheggiato la mia auto a Rho. Mi accompagneresti? Sono molto curioso di vederli.»

«Certamente.»

Più tardi uscirono. La nebbia si era infittita, come a voler nascondere la città e rendere il cammino più difficile: qualunque persona, che non conoscesse la zona, si sarebbe persa. Scesero nella metropolitana, lasciando quel mondo di nebbia alle loro spalle. Alla terza stazione, deserta vista l’ora tarda, scesero dal vagone e aspettarono che il treno ripartisse. Sul muro di fronte c’erano dei graffiti variopinti. Leo, cercando di mettere un po’ più a suo agio Maurice, disse:

«Questi graffiti, non li trovo poi così male. Un po’ di colore in questi cunicoli grigi non stona: ravviva l’ambiente. Quelle pitture sono state fatte con lo spray: chi le dipinge è veloce nel farlo; alcune sono pure firmate.»

Maurice rimase stupito. Era la prima volta che vedeva l’arte murale, abbozzata e disordinata, ma molto espressiva. Il suo occhio doveva abituarsi alle forme fuggenti, quasi aggressive e stressanti. Finalmente riconobbe un drago stilizzato, con una coda seghettata così lunga da non vederne la fine: infatti, si perdeva nella galleria scura. Davanti al drago, quasi prostrate, c’erano delle sagome di persone che parevano trafitte da nume-rosi aculei.

«Leo, vedi quelle punte variopinte?»

«Come no!»

«Che cosa potrebbero essere?»

 «Mi sembrano cristalli, considerando la grandezza e la forma geometrica.»

«Già, potrebbero esserlo.»

«Peccato, non si vede la fine della coda dell’animale. Mi domando come hanno fatto a dipingere la parete, con tutti quei treni che passano di continuo. Alcuni non si fermano nemmeno.»

«Probabilmente l’hanno dipinto in una giornata di sciopero. Sarà stato qualche indiano metropolitano.»

«Indiano metropolitano?»

«Sì, li chiamano così. Sono perlopiù giovani disoccupati o studenti, che trascorrono parte della loro giornata nella metropoli-tana. Li ho incrociati alcune volte. Hanno delle capigliature assolutamente fuori dall’ordinario e portano tatuaggi. Certo che i giovani d’oggi possono averne d’idee astruse!»

«M’interesserebbe vedere la fine della coda del drago. Forse il gioco vale la candela.»

«Ma sei pazzo? È pericoloso andare a vedere. Se passasse un treno, lo spostamento d’aria ti risucchierebbe, anche se tentassi d’incollarti alla parete: finiresti per essere schiacciato. Potresti pure rimanere fulminato da una scossa elettrica.»

«Ma forse sulla punta della coda c’è la chiave che mi manca, un indizio.»

«Maurice, lascia stare!»

Proprio in quel momento giunse il metronotte e li salutò cordialmente. Leo l’apostrofò immediatamente:

«Scusi, ho bisogno di un’informazione.»

«Buona sera, mi dica.»

«Ha già visto la parte del dipinto che rimane nascosta?»

«Intende la parte finale della coda?»

«Sì, proprio quella.»

«Sì, però non è stata terminata. Sembrerebbe che, chi stava dipingendo, abbia dovuto lasciare l’opera incompiuta. Sulla parte finale della coda c’è una grande macchia bianca con delle ali: impossibile capire cosa l’artista abbia voluto raffigurare. Forse un angelo, o un uccello bianco. Magari durante il prossimo sciopero la terminerà.»

Leo ringraziò. Aspettarono il prossimo metro e vi salirono. Alcune stazioni dopo, l’amico si congedò da lui:

«Domani ti farò chiamare da mia moglie.»

Maurice non scese, la linea lo portava fino alla stazione di pe-riferia.

 Quando le porte del convoglio si chiusero, Leo si soffermò sul marciapiede a guardare il treno allontanarsi, portando via il suo amico. Pensava che presto la vita di Maurice sarebbe stata confinata per tanti anni nelle viscere della montagna in compa-gnia di un’idea fissa, che lui stesso alimentava morbosamente e che l’avrebbe perseguitato fino alla fine, senza lasciargli tregua: sconfiggere il drago.

Scendi a patti con il drago

Anno dopo anno, metro dopo metro gli uomini e le macchine erano penetrati sempre più profondamene nel ventre della montagna. Non c’erano stati scioperi, infiltrazioni d’acqua, gas velenosi, incidenti o malattie che avessero ostacolato o fermato quell’opera di perpetuo mobile.

Avanzare era d’obbligo. Tutti lavoravano in attesa del Big Bang, aspettando impazienti l’istante in cui l’ultimo diaframma, che separava i due tubi, sarebbe stato frantumato dall’ultima carica d’esplosivo. Non appena raggiunsero il cuore della montagna, le condizioni di scavo peggiorarono. La roccia si fece instabile e più friabile, così l’armatura della volta dovette essere rafforzata maggiormente, cosa che richiese più tempo e denaro. I ritmi di lavoro aumentarono e l’impresa fu costretta a elargire compensi straordinari e incentivi, quando l’avanzamento in galleria era migliore del previsto. L’impresario faceva la spola fra un portale e l’altro, per controllare personalmente i lavori e sollecitare gli ingegneri e i capomastri a procedere più celermente. A volte si fermava sul passo e si sdraiava sul prato, che si trovava esattamente sopra il suo traforo. Appoggiava l’orecchio per cercar di sentire il rumore delle cariche esplosive, che i suoi operai facevano esplodere mille metri più in basso. A volte in-vece, credeva di sentire il cuore della montagna battere solo per lui, come se volesse fargli ascoltare il ritmo dell’amore, diventato per lui un miraggio e una speranza effimera. Nonostante fos-se circondato da migliaia di persone, Maurice si sentiva sempre più solo: era il prezzo che doveva pagare per costruire una galleria che avrebbe unito due mondi tanto diversi, mescolandone i geni. Quel vuoto emozionale era stato affiancato da un essere fantastico, che ormai dominava tante sue notti, concedendogli solo misere tregue. Quell’essere era diventato sempre più potente, veloce e agguerrito; era impossibile scappargli perché mutava costantemente aspetto e comportamento. Quel drago, che sembrava sempre più un marchingegno terrificante, con lame, scudi e punte d’acciaio, non aveva più né capo né coda, come le sue macchine perforatrici. Molte volte Maurice si era svegliato di soprassalto, sudato e tremante, perché durante il sogno il drago lo aveva imprigionato, chiudendolo in una gabbia fatta della stessa ramina di ferro che copriva la volta della galleria. Neppure quando fuggiva all’aperto, riusciva a trovare una via di scampo. La gabbia metallica copriva allora la volta celeste, come se l’universo intero fosse diventato la sua prigione. Un’angoscia sempre più profonda, prepotente e violenta si era impadronita di lui; il drago lo teneva saldamente tra le sue fauci: sarebbe bastato un suo piccolo morso e le membra si sarebbero staccate di netto dal corpo, rubandogli così il poco senno rimasto. Lo stato d’animo di Maurice andava peggiorando di anno in anno. A volte lo si vedeva incamminarsi da solo per i cunicoli scuri, come se stesse cercando qualcosa di preciso. Ormai era prossimo al collasso e più volte, pensando al suicidio come all’unica via d’uscita, aveva estratto la rivoltella dal cassetto della scrivania e facendo rullare il tamburo, immaginato di affidare la sua vita alla sorte con la roulette russa. In quei momenti drammatici il tamburo girava e rigirava a vuoto, accompagnato dal macabro pensiero: mi uccido o non mi uccido. All’improvviso però degli sprazzi di luce nascevano nella sua mente come se i suoi neuroni emanassero gridi di speranza luminosi che parevano gli suggerissero:

“Scendi a patti con il drago”.

Il traforo era diventato il pozzo pazzo senza fondo delle sue ansie. Il preventivo sui costi stava per essere raggiunto. Erano necessari ulteriori tagli incisivi sulle spese e una drastica diminuzione di operai. Le riunioni con i contabili si erano intensificate: ore e ore di calcoli per far quadrare un bilancio sempre più precario. I sindacati facevano pressione e ormai si era giunti ai ferri corti: la difesa dei diritti dei lavoratori era per loro sacro-santa. Minacciavano uno sciopero ad oltranza, nonostante le concessioni già fatte dall’impresario.

Anche l’incontro con i banchieri zurighesi in una giornata grigia e fredda era stato infruttuoso. Maurice aveva sperato di ricevere nuovi finanziamenti, ma era stato respinto con dure parole:

«I termini del contratto vanno rispettati e non possono essere modificati. Aggiudicandosi l’appalto lei si è impegnato a costruire, per la tale somma e in determinati tempi, un tunnel provvisto di binari e di stazioni ai due portali. Lei ha offerto un prezzo e tale deve rimanere, anche se la montagna le dovesse crollare addosso o il tracciato diventasse sinuoso.»

Sia la classe politica sia i banchieri avevano deciso di non ap-poggiarlo più finanziariamente. Nonostante i ritmi forsennati che aveva imposto ai lavori, gli avevano rinfacciato troppa magnitudine verso i suoi operai. Da quell’incontro, Maurice se ne era andato sbattendo teatralmente la porta, tuttavia lo spettro del fallimento si faceva sempre più minaccioso. Sentiva il cappio stringersi attorno alla gola. Stava perdendo tutto: amore e denaro svanivano lentamente, risucchiati nel buco nero dall’oscurità della montagna.

Una sera si fermò all’albergo, dove aveva incontrato il suo staff per la prima volta. L’euforia di quei giorni era ormai un ricordo lontano e fosco. Aveva sperato invano di rivedere la cameriera, l’unica donna rimasta come un miraggio d’amore nella sua mente e di poter bussare alla sua porta per chiederle un po’ d’affetto. Si ritrovò invece a camminare in solitudine sul marciapiede che costeggiava il lago, giocando col pensiero di gettarsi nelle gelide acque e farla finita per sempre. C’era un uomo fermo al parapetto che gettava pezzi di pane raffermo ai gabbiani e ai cormorani, che gli svolazzavano intorno nervosamente pronti a beccare quella manna del cielo. Maurice gli si accostò e lo guardò silenziosamente. Che cosa avrebbe dato per avere un attimo di quella pace! L’uomo si accorse di lui e gli porse alcuni pezzi di pane, esortandolo:

«Faccia come me, li getti nell’acqua a manciate. Eviti di lan-ciarli uno a uno altrimenti creerà solo stress tra i volatili.»

Maurice lo ringraziò e fece come l’altro gli aveva suggerito. Vedendo giungere a decine altri volatili dall’acqua e dal cielo Maurice provò una gioia pura e primitiva.

«Abbiamo molto da imparare da questi uccelli. - osservò l’uomo - Anche se sanno volare molto in alto, non si allontanano mai troppo dalla terra. Le sono fedeli e non la tradiscono: rispettano le sue leggi. Noi umani invece siamo pronti a sacrificare tutto ciò che abbiamo in nome del progresso. Ma progredire verso cosa? E perché? In realtà penso che non lo sappiamo più: avanziamo disordinatamente e alla minima divergenza appaiono gli spettri della guerra e dell’autodistruzione. Scaviamo e cementiamo tutto: quasi come se non volessimo più accettare la nostra terra. Invece, quando ci alziamo la mattina o prima d’andare a letto la sera, dovremmo tenere per un attimo in ma-no della terra per non dimenticare le nostre umili origini e la coda che portavamo una volta.»

Maurice si sentì a disagio. Quelle parole, in un modo o nell’altro, lo toccavano personalmente.

«Guardi quei cigni bianchi che si stanno avvicinando: sono maestri nell’arte dell’eleganza e della leggiadria. Per tanti di noi simboleggiano una bellezza interiore rivolta verso Dio e l’amore.» Maurice non disse nulla, incapace di esprimere i pro-pri sentimenti. Appena ebbe terminato di gettare il pane nell’acqua, ringraziò e si allontanò augurando all’uomo buona fortuna.

«In bocca al lupo» rispose quest’ultimo con un grande sorriso su tutto il viso.

Big Bang

Un giorno, di prima mattina, l’ingegnere-capo del lato nord giunse tutto affannato nell’ufficio di Maurice. Entrò senza bussare, perché aveva un’importante notizia da comunicargli: una squadra, durante lo scavo del cunicolo di direzione, era sbucata in una grotta; non si conoscevano ancora esattamente le sue dimensioni e in che modo avrebbe ostacolato l’avanzamento in galleria. I geologi avevano formulato due tesi sulla sua origine: o le spinte tettoniche, sovrapponendo strati geologicamente molto diversi, avevano creato il vuoto all’interno della montagna oppure era stata generata dall’erosione dovuta a forti afflussi d’acqua. L’ingegnere aggiunse che l’esplorazione della caverna non era ancora cominciata. Maurice si alzò di scatto dalla sedia e chiese d’essere accompagnato sul luogo, distante parecchi chi-lometri dal portale d’entrata.

Quando vi giunsero, i minatori avevano già liberato gran par-te della roccia frantumata dall’ultima esplosione. Il cunicolo di direzione era stretto e basso: a malapena un uomo poteva rimanervi ritto. Ancora più stretta era l’entrata della grotta. Maurice sbirciò nell’anfratto, ma scorse solo tenebre. Un minatore gli porse una torcia elettrica molto potente.

«Faccia molto attenzione signor Mafre!» gridò un minatore «La volta non è ancora stata liberata da tutti i detriti: potrebbero staccarsi accidentalmente delle pietre.»

«È come se entrassi nella bocca di un drago.», commentò Maurice, noncurante dell’avviso alla prudenza.

«Datemi una corda, dei cordini e un’imbragatura.»

Gli portarono quanto richiesto e Maurice, fissata la fune alla trivellatrice, si preparò a scendere nella caverna.

«Ma lei è matto a volersi calare in quel buco: magari la corda non basterà!» esclamò un operaio.

«Se non basterà, mi fermerò prima e risalirò la fune con i cordini.»

«Lei è un temerario.» disse un ingegnere.

«Non c’è nulla da temere: l’ho già fatto tante altre volte. Lasciatemi scendere laggiù, a esplorarla.»

Nessuno osò trattenerlo. L’impresario sparì nella cavità e, con l’elmo sulla testa e la corda attorcigliata al moschettone dell’imbragatura, iniziò la discesa verso l’ignoto, calandosi nel grembo di quella montagna, che, per anni, senza tregua, aveva sventrato, scavando tra i sedimenti di roccia. Scese, scese e poi scese ancora. Sentì una fitta al cuore e una sensazione di vuoto interiore. Cominciò ad aver paura, ma non voleva tornare indietro. Per anni non aveva fatto altro che andare avanti, a tutti i costi, senza guardarsi mai indietro, certo di poter sempre rag-giungere la meta prefissa. Quella sua ostinazione aveva reso la vita un inferno a molte persone, ma adesso, mentre scendeva nel ventre della montagna e il tempo e lo spazio si dilatavano, avvertiva d’essersi allontano troppo da se stesso e dagli altri, inseguendo traguardi irraggiungibili. La grotta della montagna era simile al suo vuoto interiore, accresciuto anno dopo anno, svuotato della propria linfa vitale. Scendendo, sentiva uno scroscio d’acqua sempre più vicino. Finalmente raggiunse il fondo. La fune gli era appena bastata. Gli altri non potevano più né vederlo, né udirlo. Attratto dallo scrosciare d’acqua, avanzò nella grotta inesplorata, cercando di procedere fra le pareti che ora si stringevano, ora si riallargavano. Dopo aver superato uno stretto passaggio, raggiunse una sala interna. Lo scroscio dell’acqua era assordante: aveva la sensazione di essere trasci-nato via da una forte corrente d’aria. Dalla parete fuoriusciva un potente getto d’acqua che andava a perdersi in un sifone. Si arrampicò su una piccola scarpata, molto scivolosa, ma con suf-ficienti appoggi per le mani e per i piedi e s’infilò a malapena in una crepa della roccia, sbucando in un’altra grotta. L’incanto e lo stupore furono immediati, come se avesse raggiunto il paradiso. Migliaia e migliaia di cristalli, bianchi, verdi, gialli, viola e blu ricoprivano le pareti e riflettevano la luce della sua torcia elettrica, con un gioco di splendidi e seducenti fasci colorati. Era un mondo surreale, vergine agli occhi dell’uomo, affascinante. Mai aveva sentito così vicino l’anima della montagna. Rimase stregato da quella pura bellezza. Sentì una forza potente e delicata, nascergli dentro e crescere. Si sedette e spense la lampada. La grotta rimase illuminata, anzi gli parve che fosse ancora più brillante di prima. Perse ogni nozione del tempo e si sentì libero e leggero, come un cigno dalle grandi ali bianche. Un essere misterioso lo avvolse con la sua lunga coda, per un attimo che gli parve un’eternità. Poi udì delle voci chiamarlo. Aprì gli occhi. Vide la corda penzolare sopra la sua testa e sentì i minatori chiamarlo ad alta voce, ripetutamente. Iniziò la risalita, ritor-nando metro dopo metro, nel suo mondo.

«Allora, capo com’è laggiù?» chiese il caposquadra.

«Niente di particolare, a parte tanta acqua. Comunque per il momento i lavori sono sospesi. Domani voglio vedere tutti gli ingegneri nel mio ufficio.»

Durante la notte sognò una squadra di minatori che piccona-va e scavava. Gli uomini toglievano i binari stesi in precedenza, perché il tracciato, secondo loro, non era adatto a far passare i treni. Per impedire quell’atto di vandalismo alla sua impresa, si gettò, con rabbia inaudita, contro i minatori, gridando e mostrando i pugni: però qualcosa lo trattenne e l’immobilizzò. Cercò invano di liberarsi, perché era il genio della montagna a trat-tenerlo. Il drago lo strinse sempre più forte e sentendosi soffocare, Maurice accettò serenamente la propria sorte con un sorriso di gioia. All’improvviso tutto sparì e nelle mani gli rimasero dei magnifici cristalli colorati. La mattina, svegliandosi, rimase molto deluso di non trovarli, benché avesse la sensazione di tenerli ancora stretti nel pugno della mano, come se fossero reali. In un negozietto del villaggio se ne procurò alcuni, simili a quelli visti nella grotta.

Quando giunse in ufficio, gli ingegneri lo stavano già aspettando impazienti. Salutò tutti cordialmente e li fece sedere. Poi appoggiò le punte di cristallo sulla sua scrivania e disse:

«Vi ricordate le direttissime di scavo che ho realizzato? Sono sempre state delle linee rette, non ho mai progettato altro. Ebbene ieri, davanti ai fatti, ho deciso di modificare i piani dello scavo. Ritorneremo sui nostri passi di un centinaio di metri e biforcheremo la galleria; costruiremo due tunnel paralleli che ricongiungeremo duecento metri dopo. Poi proseguiremo con un solo tubo, andando incontro all’altra squadra.»

«Impossibile!» dissero in coro gli ingegneri. Il capo contabile, trovando finalmente il coraggio di parlare, aggiunse:

«Perderemmo troppo tempo prezioso: siamo già in ritardo con i lavori di scavo e il bilancio è in rosso. La modifica dei piani di lavoro deve essere valutata con la Compagnia Ferroviaria, che abbiamo informato questa mattina. Un loro commissario è già in viaggio e arriverà in giornata. Inoltre pensiamo che lei dovrebbe delegare alcune responsabilità. Lei è stanco e dovrebbe riposarsi un po’.»

«Ma cosa dite? Riposarmi? Neppure da morto! Lo sapete benissimo che è impossibile far passare il traforo attraverso la grotta, se non si costruisce un ponte sospeso e ciò mi sembra assurdo. Il tubo principale non può passare: ci sono troppi vuo-ti di roccia. La deviazione del tracciato è la soluzione più sensa-ta: sono irremovibile.»

Uscì dall’ufficio a testa alta, d’umore nero, portando con sé le punte di cristallo che avrebbe esposto al sole, come talismani sacri.

L’idea di apportare una curvatura al tracciato, benché rap-presentasse una scelta amara e difficile, gli fece ritrovare il sonno di un tempo, quello di quando ancora non aspirava avida-mente a traguardi irraggiungibili. Come d’incanto le sue notti divennero tranquille. Il drago era scomparso, sciogliendosi nel-la luce dei suoi sogni. La vita gli parve più reale, come se avesse raggiunto la sua vera meta finale.

La modifica del percorso divenne il pomo della discordia, la goccia che fece traboccare il vaso. Dalla Capitale giunsero i potenti lobbisti e disapprovarono veementemente la sua proposta, perché rallentava l’alta velocità prevista per i treni in galleria. Gli parlarono con un tono mieloso, che nel suo stomaco ebbe l’effetto del sale. Gli avrebbero tolto la direzione dell’impresa: era il prezzo da pagare per mantenere intatti il cuore della montagna e il suo segreto. Sentiva che il suo cuore malandato si sa-rebbe presto spento con loro.

Una notte, s’inoltrò nella galleria con del tritolo e dei detonatori, deciso a frantumare l’ultimo diaframma prima del tempo. Quando raggiunse l’entrata della grotta dei cristalli, era molto affaticato e sentiva delle fitte al cuore, sempre più forti. Ebbe ancora la forza di unire il tritolo ai detonatori. Poi gli bastò un impulso elettrico e laggiù, nel cuore della montagna, nella came-ra dei cristalli colorati, un potente Big Bang frantumò l’ultimo diaframma che separava il suo cuore da quello della montagna.

F I N E