Ombre in fuga

 

Incipit del romanzo "Lucciole e falene"

di Alberto Gianinazzi

Edizioni Simple, Macerata, Prima edizione giugno 2013

 

 

Chi sei?

Non ha importanza, dimmi tu chi sono.

Dove vai?

Non ha importanza, voglio solo arrivare a te.

 

Un bagliore improvviso raggiunse il sogno di Max svegliandolo mentre dormiva rannicchiato sotto un faggio. Pensò all’esplosione di una granata, ma dovette ricredersi. A trarlo in inganno era stato un raggio di sole che penetrava attraverso la folta chioma degli alberi. Confuso spalancò gli occhi e respirò a pieni polmoni, come dopo una lunga apnea.

Che giorno era? Lunedì? Martedì? O un altro “dì” della settimana? Aveva perso il conto del tempo, ma non l’orientamento. Sapeva di essere vicino alla sua meta, perché da quelle parti c’era già stato per delle misurazioni catastali, perciò la cresta calcarea, messa in risalto da un cielo limpidissimo, gli era alquanto familiare. Si alzò in piedi e sentì le gambe molto deboli dopo gli interminabili saliscendi, su sentieri fantasma, in fitti boschi a lui sconosciuti.

 

Riunì le sue cose e, prima di partire, si mise un attimo al sole per scacciare l’umidità di quella notte movimentata ma rivelatrice. Riprese il cammino e, aiutato dalla fiducia, dal fiuto e dalla fortuna, trovò l’imbocco della val Valspera, che, dopo una curva, puntava dritta a nord. Per un lungo tratto preferì camminare ai bordi di una mulattiera, nascosto dagli alberi. Il suo spirito reclamava libertà e, sentendosi quasi in salvo, proseguiva euforico. A farlo uscire finalmente dall’ombra e ad attirarlo a cielo aperto furono degli scampanellii e l’abbaiare di un cane. A pochi passi da lui passava un gregge con il suo pastore. Continuò con cautela finché tutti, pastore, cane e capre, dovettero fermarsi davanti a un ponticello dissestato. Le capre, impaurite dall’improvviso ostacolo, si strinsero l’una contro l’altra e allora non gli restò altro da fare che aprirsi la strada tra loro. Il cane corse verso di lui ringhiando, ma un fischio echeggiò nella valle, richiamandolo dal suo padrone. Max raggiunse il pastore e, rompendo il silenzio che lo aveva separato dagli altri esseri umani per tanti giorni, disse:

«Buon giorno.»

«Buon dì» rispose un giovane snello e agile, con i capelli molto lunghi. Aveva della peluria sul mento, però era ancora troppo leggera, perché si potesse già chiamare barba.

Max guardò le acque piene di fango del torrente: la sete si faceva sentire e inaridiva sempre di più la sua gola. Allora domandò:

«Quanto ci vuole fino alla prossima fonte?»

«Circa mezz’ora: più in alto c'è una sosta che serve da riparo per le bestie.»

Il giovane tolse dalla bisaccia la borraccia e gliela porse dicendo:

«Può berne quanta ne vuole: io, per il momento, non ho sete.» Max accettò e, calmata la sete, restituì la fiasca, proponendo in cambio di sistemare il ponte, mentre l’altro badava ai suoi animali. Si calò quindi sotto il ponte, recuperò alcune assi e le fissò alla bell’e meglio sui tronchi portanti. A lavoro terminato, chiese al pastore di poterlo accompagnare.

 «Non ho niente in contrario – rispose l’altro e aggiunse - però mi tolga prima una curiosità: vuole oltrepassare la frontiera?»

«Frontiera?» ripeté Max come un ebete, colto di sorpresa.

«Sì, questa mulattiera porta in Svizzera!»

Max non sapeva che risposta dare, perché desiderava mantenere il suo segreto, ma, su quel sentiero, un forestiero, malridotto come lui, non poteva farlo: le sue intenzioni erano più che ovvie.

Rispose con un “sì” incerto, mentre il cuore accelerava il battito.

«Oggi è il suo giorno fortunato. Appena fuori dal paese mi hanno superato le guardie che salivano per dare il cambio a quelle di stanza al confine. Le altre scenderanno nel primo pomeriggio. Stasera in paese c'è la festa del Santo Patrono e la ronda è stata ridotta.»

 

Max si rassicurò. Il peggio era passato e presto lo spettro della sciagura non avrebbe più potuto riportarlo nel suo mondo infernale.

Era tempo di ripartire.

«Si metta in coda al gregge e mi aiuti a chiudere la colonna.»

 

Poi il giovane fischiò, il cane abbaiò e le bestie si misero in movimento. Max si mise in coda, rimanendo sul chi vive.

La mulattiera proseguiva dolce, ma, più in alto, tagliava la costa obliquamente e poi saliva zigzagando.

Il bosco di faggi scomparve per lasciar posto a una vegetazione composta di alberi a basso fusto, felci e ortiche. Il sole, alto nel cielo, illuminava ormai tutta la valle. Le ultime gocce di rugiada evaporavano nell’aria e farfalle, con le ali arancioni e bianche, volavano fra i fiori e gli arbusti; a tratti pareva che volessero accompagnare quella comitiva di uomini e animali.

Finalmente giunsero al rifugio. Era un grande edificio aperto di lato con il tetto spiovente e, di fronte, una fontana con l’abbeveratoio scavato in un tronco d'albero. Max scrutò la lunga cresta rocciosa ancora lontana, cercando un passaggio praticabile, che i suoi occhi esperti individuarono con facilità. Nuvole grigie si stavano addensando annunciando un cambiamento di tempo prima di sera. Max si svestì. I piedi erano gonfi, pieni di lividi e gli dolevano molto; una capra, attratta dall’odore del sale, si chinò a leccarglieli e lui sorrise, lasciandola fare. Andò poi all’abbeveratoio, preso d’assalto dagli ovini, e attese il suo turno. Quando immerse la testa nell’acqua, vi rimase così a lungo da far pensare di preferire il mondo subacqueo a quello terreno. Risollevò la testa fradicia e grondante e immerse i piedi nell’acqua, ringraziandoli per averlo portato fino lì. Contento, si sdraiò sull'erba ad asciugarsi al sole di quel magnifico giorno d’agosto.